
É fiorito il glicine, quello bianco e caparbio, che si infila dalle fessure delle imposte sino ad entrare in camera di mio figlio. Di solito lo tagliavo, ma quest’anno lo lascio fare, perché la bellezza non mi sembra mai abbastanza.
Venerdì é passata un’ altra settimana.
Io le settimane le conto così, forse perché é di venerdì che la vita come la conoscevo ha smesso di esisistere.
L’ultimo giorno del mondo vecchio ero a Milano.
Fra un paziente e l’altro sono andata a farmi mettere lo smalto dalle ragazze cinesi vicino a corso Genova. Parlavano fitto, nella loro lingua che a me sembra
sempre il suono di un ruscello.
Il negozio era vuoto, indossavano guanti e mascherina, non ci ho fatto caso,le cose dissonanti le metto via, in qualche angolo polveroso.
Sono passati quarantatré giorni. Lo smalto si é piano piano staccato, tranne una piccola traccia, sull’anulare. Non la tolgo. Voglio ricordarmi che un pomeriggio di mille anni fa, prima dello tsunami, la vita era prevedibile, mi sentivo al sicuro, forse persino bella e avevo voluto dipingermi le unghie di rosso.
Quello é stato anche il giorno in cui ho smesso di appuntare su un’agenda un sacco di cose da fare che mi sembravano importantissime e adesso non sono più niente.
Ora scrivo solo di me, per riannodare i fili, perché io mica lo voglio scordare questo tempo immobile.
Di questa cosa del rivedere le nostre agende ne ha parlato anche il Papa.
“Devi assolutamente guardarlo perché ci benedice tutti!” ha tuonato mia madre al telefono.
Ho pensato ecco, ormai è come la nonna Margherita, che quando il prete veniva a benedire casa per Natale, gli faceva girare tutte le stanze, con quella fede dei semplici che non si sa mai che i muri fermino le preghiere.
Per me invece la religione é sempre stata un gran casino.
Figlia di una donna che ha studiato dalle suore e del mito di un padre comunista. É morto che avevo sei anni, ma certe assenze fanno un rumore assordante. Questo Papa però mi piace,davvero. Sarà perchè con quell’accento lento e quella esse strascicata da italiano d’Argentina quando parla di fratellanza mi sembra il Che, e le mie due anime riescono a stare finalmente insieme. Così ho acceso la televisione, e ho visto un uomo stanco con i capelli radi seduto in silenzio. Le spalle curve. Mi sono detta che la vita fa questo alle spalle. E che i dolori ti scavano dentro come i cerchi che dicono l’età degli alberi. Ogni cerchio ad amplificare quello dopo. Io non so mica pregare , ma questo vecchio solo,vestito di bianco, che non ha pudore di mostrarsi ferito mi ha restituito il senso del sacro.
Un po’ come la Madonna imperfetta che sta all’incrocio fra due strade del mio borgo.
La Madonna ha polsi grossi, contadini, il bambino guance rosse e il moccico al naso, un Gesú di collina. Li ha dipinti l’Emilio, il mio vicino di casa.
Era una persona gentile l’Emilio. Se lo é portato via il Covid, qualche giorno fa. Sono andata a portargli dei tulipani, di nascosto, camminando fra le vigne che stanno germogliando, perché faccio una grande fatica ad accettare queste morti senza fiori.
E poi mi sono seduta su un muretto di pietra, ho acceso una sigaretta e mi sono concessa di essere immensamente triste.
E se dovessi scegliere un super potere, uno solo, io vorrei tenere questa mia vulnerabilità.
Alla faccia dei decaloghi dei miei colleghi psicologi sulla perfetta quarantena in cui bisogna vestirsi, truccarsi, coltivare hobby, cucinare come Cracco, leggere grandi classici, essere resilienti.
Così se hai un nodo in gola, mangi Simmenthal e non ti togli il pigiama da dieci giorni pensi anche di essere sbagliata. E invece,magari, sei solo triste,cazzo! E dirsi la fragilità è un modo resistere.
E anche alla faccia di chi ti dice che se non vivi in trentametriquadricontrefigli non puoi piangere,perché a volte è l’anima a fare male.
E alla faccia degli arcobaleni.
Perché io lo so che andrà tutto bene, ma adesso stiamo come il mio glicine d’inverno.
E così oggi è un giorno dispari e io mi sono concessa il grande privilegio di essere triste.
Per l’Emilio che non vedrà maturare l’uva.
Per i morti senza fiori.
E per chi vorrebbe essere triste ma non riesce e allora urla forte la rabbia.