
Stamattina sono andata a portare la colazione a mia madre. Abita a pochi metri da me, in questo borgo bellissimo che io ho scelto quando ho capito che la città era una gabbia e che lei ha accettato per osmosi, perché casa è dove ci siamo io e suo nipote, ma che continua a vivere con la diffidenza di una sciura milanese in esilio.
La colazione gliela porto ogni mattina, dopo essere andata a dare da mangiare ai gatti e lei mi ringrazia con lo stesso affetto schivo dei randagi che curo. Ogni mattina, mi chiede che giorno è, che il tempo dei vecchi è questo casino qui, di passato remoto e futuro brevissimo e a volte credo che se non ci fossi io a cucirli caparbiamente insieme lei si dissolverebbe come un acquerello.
É il venticinque aprile mamma.
Lo sapevo che avrebbe iniziato a parlarmi della sua guerra, la conosco a memoria, ma oggi il pensiero che ad ottobre avrà novant’anni e che potrebbe essere l’ultima volta che la racconta mi é entrato dentro come una coltellata.
Mi è venuto il magone.
A volte vorresti avere una mascherina anche per gli occhi.
Mi sono seduta e ho ascoltato.
Di quella notte nel rifugio della stazione centrale, quando doveva prendere il treno per il collegio ma il cielo aveva iniziato a vomitare bombe, tutti stretti uno all’altro,con l’odore della paura a riempire il buio. Della divisa da giovane italiana.
E di quando é arrivata la guardia civile repubblicana a cercare qualcuno e hanno messo lei e i suoi quattro fratelli in ginocchio con la faccia contro il muro.
Di mio nonno che avrebbe voluto fare il prete e poi ha incontrato la Margherita, hanno fatto cinque figli, non si sono amati mai, e dentro era rimasto un prete e aiutava tutti, così in cantina c’era sempre qualcuno nascosto. Non faceva domande, accoglieva e basta, ed era questa la sua fede.
Della nostra grande casa al lago, requisita dai fascisti per farci un’infermeria durante la repubblica di Salò e dei soldati tedeschi che suonavano il piano a coda nel salone pieno di scricchiolii che tanto mi terrorizzava da bambina. E poi gli americani talmente belli da farti dimenticare che le bombe erano le loro.
È stata una liberazione senza colori quella di mia madre, come quella di tante persone normali, travolte dalla storia, nè fascisti nè partigiani. La liberazione dalla paura.
Poi c’è stata quella di mio padre, che il tempo per dirlmela non lo ha avuto. So solo che il nonno Davide era un antifascista convinto, uno di quelli che pur di non prendere la tessera del partito si é fatto licenziare, anni di fame, rifugiati dagli zii nella bassa, che per un contadino dove mangia uno si può mangiare in dieci e mi immagino l’aria immobile che sa di stalla e la nebbia nei polmoni. Il suo venticinque aprile è stato rosso, come tutta la sua vita. Da piccola mi cantava Fischia il Vento e per I Morti di Reggio Emilia come ninna nanna,così, quando da adolescente ho dovuto scegliere fra il mito di mio padre e la presenza bella e inquieta di mia madre non ho avuto dubbi, chi muore giovane ha sempre più fascino.
Ho portato mio figlio in manifestazione a un anno, tenendolo nella fascia, sotto l’ombrello, perché il venticinque aprile piove sempre, tranne oggi e questo dice molto sulle idee politiche di Dio. Lo tenevo stretto contro il cuore.
Volevo che respirasse quello in cui credevo. Più tardi avrei capito che quella cosa non esisteva più e io non lo perdono a questa sinistra scolorita di avere iniziato a correggere i congiuntivi altrui e di essersi dimenticata di lottare.
Sono incazzata, ma una lacrimuccia su Bella Ciao non me la sono mai fatta mancare.
Quest’anno no. Non riesco proprio a festeggiare.
Perché la nostra memoria la abbiamo lasciata morire negli ospizi che per essere moderni chiamiamo RSA o in qualche appartamento modesto, in cittá troppo veloci per fermarsi a piangere.
E quando leggiamo l’età media di chi si è portato via il Covid sentiamo una specie di sollievo e abbiamo persino il coraggio di chiederci se valeva la pena di mettere in discussione tutto per una cosa che in fondo non ci riguarda.
Ma cosa cazzo speriamo di insegnare ai nostri figli se non siamo riusciti a proteggere i nostri vecchi?
Se io mi sento libera anche chiusa in una casa da due mesi lo devo alle idee di mio padre e all’amore goffo di mia madre.
Io il mio venticinque aprile l’ho celebrato ascoltando la sua voce, perché quando l’ultima come lei volerà via la liberazione sarà solo una pagina su un libro di storia.