La torta di mele

Sto a casa.
Ho fatto la torta di mele.
Mi siedo.
Aspetto.
Ho così tanto tempo ormai che posso stare seduta ad osservare la torta lievitare, lo zucchero in superficie che si fa dorato. Lo zen e l’arte di sopravvivere al Covid19.
Sul frigorifero di fronte a me c’è un invito a visitare una facoltà di medicina. Una delle tante in cui ti avrei dovuto accompagnare. Il cartoncino é tenuto da calamite inutili che raccontano viaggi in paesi lontani. Sono proprio le schegge di normalitá che danno forma all’assurdo.
Sull’invito c’è scritto Open é il 14 marzo, il 14 marzo di un’altra vita. E mi sembra di essere la protagonista di un romanzo di Stephen King, seduta in cucina a tagliare le mele e a fare finta di niente mentre fuori il mondo che conoscevo non esiste piú .
Poi arrivi, ti siedi di fronte a me, a distanza di sicurezza dalla mia mano che vorrebbe scompigliarti i capelli. A diciott’anni le carezze di una madre sono acido muriatico.
Smetto di fissare il forno e ti guardo. Da quanto non lo facevo davvero? Non ti sei fatto la barba,sembri più grande. Tieni le spalle meno dritte,tre settimane senza sport iniziano a farsi sentire, o forse le hai chiuse a proteggere il cuore. Gli occhi invece, quelli sono gli stessi di quando eri bambino. Pensieri veloci, lampi di verde, nuvole rapide (anche se tu i Subsonica non sai nemmeno chi sono). Hai sempre avuto domande nello sguardo. Ora più di sempre vorrei avere le risposte. Ma c’è questo tavolo sporco di farina fra di noi e questo silenzio irreale.
Fai fatica ad addormentarti alla sera. Ti sento rigirarti nel letto, muoverti per le stanze.
Da me, dalla mia luce accesa non vieni mai. Ieri però mi hai raccontato un incubo.
Dovevi andare a trovare un’ amica, era notte ed eri solo. Ti si accendevano tutte le spie di allerta della macchina, ma andavi avanti, per arrivare da lei dovevi attraversare un ospedale, i malati erano infetti, sembravano i tossici mangiati dal Krokodile. Non trovavi l’uscita, eri in trappola.
Fede secondo me…
Mamma, risparmiami le tue minchiate da psicoanalista.
Che poi io la psicoanalista la faccio davvero, ma per maneggiare mio figlio aspetto che qualche collega più illuminata mi scriva un tutorial sull’isolamento con un adolescente, perché se ti dipingessi un arcobaleno e ti dicessi andrà tutto bene, molto probabilmente risponderesti ,ridendo, “Tutto bene un cazzo”. E avresti pure ragione, e la cosa dissonante in questa comunicazione sarebbe solo la risata.
E così sto qui, con l’unica domanda sensata strozzata in gola.
“Hai paura?”.
Ma tu non puoi ancora permetterti di essere vulnerabile.
Io sono vecchia e ho fatto pace con le mie ferite.
E allora vorrei dirti che se fossi in te io avrei una paura fottuta.
Come quando ero piccola e qualcuno faceva saltare in aria le stazioni, con dentro la gente stanca che già pensava al mare, e io non sapevo se dopo tutto quel dolore qualcosa sarebbe mai stato come prima.
E se fossi in te io sarei incazzata, perché questo é l’anno della tua maturità e ti meritavi di pensare solo a quella, ti meritavi di sognarla di notte, per anni, come tutti noi, perché quello era il rito di passaggio. La maturità voi ve la state guadagnando sul campo, crescendo all’improvviso, che dopo questo, nessun esame avrà più senso.
E poi ti meritavi un’estate stupenda, in giro per un’ Europa diversa, una senza frontiere. E magari avresti incontrato una ragazza bellissima che parlava un’altra lingua e anche solo un centimetro da lei sarebbe stato troppo. E invece devi capire da solo quanto pesa un metro di distanza, che un bacio può uccidere e che il più grande gesto d’amore é stare lontano da chi ami.
E vorrei chiederti scusa, a te e ai ragazzi come te, perché la mia generazione vi ha usato come capro espiatorio dei propri limiti. Vi giudichiamo perché non sopportiamo di non riuscire a restituirvi un senso.
Persi in questa altalena fra la negazione e la psicosi, (che in fondo poi sono la stessa cosa) abbiamo preteso che foste più responsabili di noi, non l’abbiamo mica voluta vedere la fragilità dietro la spavalderia, eravamo troppo occupati a contemplare le macerie delle nostre certezze.
Insomma quante cose avrei potuto dirti.
Invece ti do una fetta di torta di mele.
Come mia madre quando provava a riempire l’assenza con le polpette.
E stiamo fermi.
In questa casa di pietra in cima alla collina. Sotto un cielo senza più aerei.
Ad aspettare la primavera.
#covid19 #iostoacasa

Un pensiero su “La torta di mele

  1. hai scritto un post meraviglioso. ciò che si avverte in quanto sta accadendo è un’ impotenza che si incolla addosso e incupisce frenando i nostri pensieri. L’umore si affloscia ma spero che almeno la tua torta sia lievitata alla perfezione. Un saluto, felice di averti letto.

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