La misura dell’amore

Stanotte é finita l’estate.
É successo all’improvviso,
mentre ero distratta,
se l’é portata via questo vento bagnato che sa di terra stanca e mosto.
Gli anni scorsi non era così.
L’arrivo dell’autunno non mi coglieva alla sprovvista, me lo diceva la Lina.
L’estate finiva semplicemente quando lei raccoglieva gli ultimi fiori arancioni dall’aiuola davanti a casa e si preparava per tornare in città.
Partiva sempre un po’ prima della prima pioggia, per portarsi una memoria di sole nella nebbia di pianura.
La Lina e l’Emilio
arrivavano a Giugno nella grande casa di pietra accanto alla mia, diventavano il metronomo delle mie giornate, le scandivano con ritmo costante del loro vivere quieto.
Li conoscevo da sempre, senza averli conosciuti mai. Il paese é un cantastorie. Si erano incontrati tardi la Lina e l’Emilio, lui aveva girato il mondo suonando ballabili sulle navi da crociera, lei non era mai uscita da Golferenzo, schiava di una famiglia ingombrante. Radici e prigioni a volte si confondono.
Si erano trovati tardi, ma non si erano lasciati più.
Ogni mattina passeggiavano, tenendosi per mano, parlando fitto, come se la notte fosse stata una separazione insopportabilmente lunga.
Verso sera, ogni sera, uscivano in macchina per andare al piccolo bar all’aperto del borgo.
Lina portava sempre con sé due maglioncini, uno bianco per lei ed uno grigio melange per Emilio, le piccole premure di una vita insieme, quando conosci il freddo dell’altro come se fosse il tuo. Li sentivo tornare tardi, mi incuriosiva il tempo che passava fra lo sbattere delle due portiere.
Così li ho spiati, da dietro le tende chiuse.
Emilio scendeva ad aprire la portiera a Lina, le porgeva il braccio, poi la richiudeva piano.
Quel gesto ripetuto e paziente, quell’intervallo silenzioso fra i due rumori é diventato per me una misura dell’amore.
Anche quest’anno ho aspettato di vedere le imposte verdi aprirsi, di vedere la Lina potare le rose.
A San Pietro e Paolo l’erba nell’aiuola si é fatta alta, troppo.
Al funerale della Lina ho pianto tutte le lacrime che avevo, l’ho fatto dietro gli occhiali scuri, vergognandomi di quel dolore da estranea. Ho singhiozzato come i bambini quando capiscono che le favole non esistono. Poi ho visto l’Emilio. Stava fermo, sotto il sole, con i fiori arancioni in mano e il maglione grigio addosso, che il gelo da dentro non gli andava piú via. L’ho visto e ho capito che per lui non era mica finito niente. Allora ho dovuto andare a dirgli grazie, per la portiera e le estati, grazie per la favola. Gli ho detto che un amore come il loro io non l’avevo visto mai, che un amore cosí non te lo poteva portare via nessuno, nemmeno dio.
Ma lui lo sapeva giá…

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