Sono lenta.
Potrei dire riflessiva, per darmi un tono, invece sono proprio lenta.
Ed è una benedizione.
Mi innamoro con tranquillità inesorabile di persone, luoghi, idee. Altrettanto lentamente odio, con calma, sino a dimenticare.
Per capire cosa volere dal duemiladiciotto mi é servito un mese in più di tutti gli altri.
Prima di chiedere dovevo conoscerlo questo nuovo anno, ormai familiare, nel ripetersi di albe gelide e gesti consueti.
Da bambina avevo dei pupazzetti colorati vivevano in scatole di fiammiferi. Arrivava una tempesta e io dovevo metterli al riparo su una barca piccolissima.
Li mettevo vicini vicini, per non farli sentire soli.
Nella mia vita reale in troppi erano andati via.
Quella zattera era il mio modo di salvarli, di salvarmi.
Quando riuscivo a fare salire tutte le bambole mi sentivo finalmente serena. Che per me é la cosa più vicina alla felicità .
Ora mi sento così quando scende la sera e tutta la mia tribù é in casa. Pareti di sassi irregolari e travi di legno povero sono il mio cerchio magico.
Arriva la notte ed è brutto lá fuori.
Lo scorso anno é stato gentile, ogni sera ho potuto chiudere la porta senza lasciare una luce accesa.
Non sono stata ferita mai.
Ho ritrovato la strada di casa e la capacità di ascoltare le vite degli altri.
Ho comperato una grande vecchia jeep Bordeux, che mi assomiglia. Un tempo era una macchina bella e complicata, ora ha il fascino tranquillo delle cose che trovano finalmente il loro posto nel mondo. Ma quando si accende tremano le colline.
E poi é arrivato un bassotto, perché non tutto deve avere un senso.
Mi sono presa il mio tempo per chiedere qualcosa all’anno in cui di anni ne avrò cinquanta.
Vorrei che la mia mente fosse uno spazio accogliente per i pensieri che mi vengono affidati.
Che la mia zattera fosse grande abbastanza per tutti quelli che amo.
Che l’inverno sia lieve.