Martedì ho tagliato i capelli .
Erano diciassette anni che non lo facevo, dal giorno in cui ho scoperto di aspettare Federico.
Sino a quel momento avevo solo voluto diventare un acquerello , un’idea di donna. Una vita trascorsa a contare mentalmente i grammi di cibo, a toccarsi il bacino per sentire se le ossa, tanto desiderate, erano ancora lá, a fior di pelle. Un tempo infinito, passato a non volersi riflettere, come un vampiro, a disegnarsi contorni sempre troppo grandi per essere sopportati.
Dopo il test di gravidanza ho comprato uno specchio.
Ho guardato, senza orrore, i miei fianchi farsi tondi e i miei seni ( che tanto avevo odiato) diventare ancora più pesanti. Ho visto,senza soffrire, le vene azzurre apparire sulla pelle tesa e le caviglie trasformarsi in tronchi.
Mi sono specchiata ogni giorno e ho lasciato che i capelli si allungassero.
Prima li portavo cortissimi.
Se penso alla me di allora, mi rivedo in una foto scattata durante la discussione della tesi. Le spalle un po’ curve, i capelli di un ragazzino, il viso troppo bianco e gli occhi troppo grandi, le mani strette a pugno, le unghie conficcate nel palmo, quasi a farlo sanguinare.
Ho preso 110 e lode ovviamente, non mi sarei mai concessa niente di meno. E ancora non mi sembrava abbastanza.
L’arrivo di mio figlio mi ha reso donna ancora prima che madre. Ho imparato a tollerarmi (amarmi mi sembra esagerato) attraverso di lui, a sorridere delle mie molte imperfezioni. I capelli lunghissimi sono stati il mio modo di dirmi che avevo fatto pace con me stessa. Li ho sempre portati legati, perché nella vita le ferite non guariscono mai del tutto.
Ora li ho tagliati.
Come mi ha detto ridendo un’amica cara, adesso ho il colore di Gilda e la pettinatura della Dietrich.
Sono il solito casino, insomma. Ma la femminilità, in fondo, non è proprio questo continuo cercarsi?
E stamattina , nonostante le occhiaie dell’alba e quella piega un po’ amara, proprio vicino al sorriso, mi sono guardata allo specchio e mi sono trovata.